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Pubblicato sul sito www.7giorni.info

Egregio Avvocato,
Le sottoponiamo il nostro quesito sicure che Lei potrà fornirci il suo autorevole consiglio per la risoluzione del nostro problema. Siamo tre sorelle comproprietarie di un immobile del quale ne deteniamo il possesso in misura del 25% ciascuna; l’altro 25% è di proprietà di una quarta nostra sorella. Il suddetto immobile, pur essendo di proprietà esclusiva di noialtre quattro figlie, è stato utilizzato da nostra madre, fin dalla morte di nostro padre, come abitazione principale in qualità di coniuge erede.

Qualche anno fa la nostra quarta sorella, dicendo di volersi separare dal marito, se ne andò a vivere arbitrariamente assieme a nostra madre senza però aver mai cambiato residenza anagrafica e fino ad oggi senza aver fatto la separazione legale; per cui risulta sempre sposata e con residenza anagrafica a casa del marito. Ora, a seguito della morte di nostra madre avvenuta qualche mese fa, lei continua ad occupare indebitamente l’appartamento rifiutandosi di voler trovare un accordo comune affinchè potessimo metterlo in vendita e dividerci il ricavato in quattro. La sua assurda pretesa è quella di rimanerci dentro, da sola perchè ha due figli sposati, chissà per quanto tempo. Secondo Lei, Egr. Avvocato, quali possono essere le possibili soluzioni più convenienti per tutte da adottare? Questa nostra sorella può pretendere – con la sola sua quota di 1/4 – di approfittarsi di noi e fare solo i suoi comodi? Le spese varie, per le utenze dei contratti ancora in essere, a carico di chi sono? E nel caso le pagasse lei, in quanto usufruisce dell’immobile, potrà vantare in seguito qualche diritto? E, ci permetta una cattiveria, noi tre abbiamo avuto sempre il sentore che nostra sorella ne approfitasse, con la scusa dell’incompatibilità col marito, per andarsene a casa di nostra madre quando era ancora in vita, per poi rimanerci per sempre.

Infatti, alla luce di quanto successo, avevamo pienamente ragione di dubitare. A questo punto ci viene anche da pensare che il marito fosse stato d’accordo con lei su questa sceneggiata e magari trovarselo assieme a lei nella nostra casa. Comunque la nostra ferma intenzione è sempre quella di liberarci di questo immobile e venderlo per recuperare un po’ di soldi per ciascuna di noi. Scusandoci per esserci dilungate per esporre al meglio la situazione, nel ringraziarLa anticipatamente per l’attenzione che ci dedicherà e per i suoi preziosi consigli, distintamente La salutiamo.

Silvia

 

Gentili Signore,
quando un bene è in comune tra più soggetti può capitare (anzi capita molto spesso) che solo qualcuno dei comproprietari (o anche solo uno di questi) si arroghi il suo godimento “esclusivo”, il più delle volte approfittando del fatto che non sempre la natura della cosa comune permette – contemporaneamente – l’uso individuale di ciascun partecipante.
Orbene, se è pur vero, in generale, che l’utilizzo che il singolo fa della cosa comune non deve essere necessariamente proporzionato alla quota a ciascuno spettante, come accade ad esempio nel caso in cui gli altri contitolari non la utilizzano e consentono a chi fruisce anche di una quota minima di sfruttare il bene in tutta la sua estensione, tuttavia, l’articolo 1102 del Codice Civile precisa che il godimento dell’uno non può arrecare danno agli altri partecipanti ovvero impedire loro di parimenti utilizzarlo.
Un esempio concreto della regola sociale – purtroppo per lo più ignorata- per cui la libertà dell’uno finisce laddove inizia quella degli altri.

Dal racconto che mi avete fatto, è evidente che la Vostra quarta sorella non ha, allo stato, alcuna intenzione di comportarsi semplicemente quale comproprietaria, ma come unica proprietaria, un titolo che, con gli anni, se Voi glielo consentiste, potrebbe anche ottenere usucapendo la casa con un godimento esclusivo protratto e continuato (Cass. Civile sez. II 25 marzo 2009 n. 7221).
I rimedi per evitare che questo accada – a fronte della perpetrata ostinazione di Vostra sorella di non accettare un accordo che tenga conto delle esigenze di tutti i soggetti coinvolti – sono essenzialmente due.

Il primo, che, tuttavia, ritengo praticamente di impossibile attuazione pratica, sarebbe quello di accordarvi al fine di vendere le Vostre tre quote dell’immobile ad un terzo, che, in tal modo, comprerebbe ¾ della casa.
Nel quesito della missiva non è molto chiaro se l’acquisto del Vostro diritto di proprietà, ciascuna per il 25%, sia stato a titolo originario o derivativo.
Dal tenore del racconto in cui avete precisato che Vostra madre ha abitato nella casa di cui si discute in qualità di coniuge erede dopo la morte di Vostro padre, suppongo che si ricada nella seconda delle ridette ipotesi, e, quindi, che abbiate ereditato l’immobile di Vostro papà.
Se così fosse, prima di procedere, dovreste informare, con una raccomandata AR, Vostra sorella della Vostra intenzione di vendere e a quale prezzo, così da consentirle di poter esercitare il suo legittimo diritto di prelazione entro i due mesi previsti dalla legge, trascorsi i quali sareste libere di vendere ad estranei.
Tuttavia, non vedo davvero quale acquirente sarebbe interessato a comprare una porzione di immobile occupato, peraltro, da uno dei comproprietari che non intende andarsene!Si tratta, dunque, di una mera possibilità da manuale a mio avviso.

La possibilità, invece, che realmente avete per tutelarvi è quella di promuovere un giudizio di divisione del “bene della discordia” dinanzi al Tribunale competente, cui sarà coinvolta a partecipare anche la vostra quarta sorella.

La divisione dovrà avvenire, se possibile, in natura, cioè trasformando le quote ideali dei partecipanti in porzioni fisiche della cosa. Se il carattere del bene, tuttavia, non consentisse o rendesse scomoda la divisione in natura, si procederà all’assegnazione a uno dei partecipanti, interessato ad averlo, che corrisponderà agli altri il valore in danaro della loro quota; oppure, nell’ipotesi in cui nessuno dei comproprietari fosse interessato, si procederà alla sua vendita con conseguente ripartizione del ricavato.
In merito, preciso che è possibile, a meno che non intendiate assumere questa iniziativa immediatamente, con molta probabilità prima di iniziare il ridetto giudizio, che sia necessario esperire una procedura finalizzata a cercare di trovare un’intesa fra le parti, chiamata mediazione.
Il recente “Decreto del Fare”, approvato dal Governo Letta, ha, infatti, reintrodotto tale istituto nonostante la Corte Costituzionale, con sentenza del 06.12.2012 n° 272 , G.U. 12.12.2012, avesse dichiarato l’illegittimità costituzionale del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 nella parte in cui ne prevedeva il carattere obbligatorio per alcune materie, fra cui anche la divisione.
Mi esprimo in termini di mera probabilità in quanto tutti noi operatori di diritto siamo in attesa della Legge di conversione del richiamato decreto che ha preso come riferimento temporale proprio la legge di conversione per determinare l’operatività di tali novità (art. 84, comma II, Decreto legge 21 giugno 2013 n. 69, recante “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia).
Onestamente, portando la mia esperienza professionale, la mediazione, purtroppo, si risolve quasi sempre in un nulla di fatto, avendo come unico effetto quello di aumentare le lungaggini del sistema giustizia.

Se c’è una volontà conciliativa, infatti, l’accordo si può trovare ben prima di andare, a pagamento, davanti ad un mediatore. Diversamente, è assai improbabile che la parte che non ne vuole sapere di trovare un punto di incontro, si decida solo perché a chiederlo è un terzo, che non ha alcuna autorità di imporre alcunché.
Ma, detto questo, che costituisce solo lo sfogo di un professionista, stanco di dover spiegare ai clienti il motivo per cui le cause durano tempi irragionevoli, e tornando al Vostro caso, il mio consiglio è quello di rivolgervi immediatamente ad un Legale affinché rappresenti alla Vostra quarta sorella, magari con una prima lettera, la serietà delle Vostre intenzioni di veder tutelati i Vostri diritti di coeredi comproprietarie.
E’ possibile che questo determini una reazione da parte sua, il primo passo, si auspica, verso una definizione bonaria della vicenda, che potrebbe contemperare gli interessi di tutte. Ad esempio, se voi foste dell’avviso di considerare anche un’altra alternativa alla vendita, Vostra sorella potrebbe continuare ad abitare la casa e pagarvi un affitto, proporzionato naturalmente al fatto che ne è comproprietaria.
Se così non fosse, in ogni caso, come detto, lo strumento della divisione potrà garantirvi, con le “cattive”, di ottenere ciò che Vostra sorella si ostina ad ostacolare, e, cioè la vendita del bene.
Non solo.
Se vostra sorella, per tutto il periodo in cui il bene è rimasto in comunione, ne ha goduto in via esclusiva, senza un titolo giustificativo, dovrà corrispondervi i frutti civili dello stesso, quale ristoro della privazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, con riferimento ai prezzi di mercato correnti dal tempo della stima per la divisione a quello della pronuncia (Cass. 6 aprile 2011 n. 7881; Cass. Civile sez. II, 27 agosto 2012 n. 14652). Quindi dovrà “risarcirvi” in denaro il mancato uso del bene a causa della sua condotta contraria alla legge.

Per quanto concerne, infine , gli altri quesiti che avete posto alla mia attenzione, in linea generale, posso dirvi che i comproprietari devono partecipare, in misura proporzionale alla rispettiva quota, alle spese di gestione del bene comune, così come al pagamento delle imposte.
Mentre, per quel che riguarda le utenze, per evitare qualsivoglia tipo di problema, vi suggerisco di segnalare immediatamente l’avvenuto decesso di Vostra madre alle Società con cui la stessa aveva stipulato i relativi contratti, disdettandoli, informando, preventivamente, la vostra quarta sorella che procederete in tal senso nel rispetto della normativa.
Nonostante, infatti, siano tantissime le persone che, per i motivi più svariati, compresa la pigrizia, subentrano di fatto nelle utenze di cui risulta formalmente titolare un parente, spesso un genitore o un coniuge, venuto a mancare, è bene sapere che questa prassi non è lecita e, peraltro, attualmente, è anche oggetto di accertamenti poiché ostacola i controlli incrociati a fini fiscali.