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Ripartizione e graduazione della responsabilità del personale sanitario nella logica dell’apportionment of liability. La sentenza del Tribunale di Terni del 2 luglio 2010.

La vicenda presa in esame dal Tribunale di Terni trae origine dal caso di una paziente che, a seguito di sincope post minzionale, veniva ricoverata presso la divisione di cardiologia dell’Ospedale di Terni e sottoposta a terapia antiaggregante e a diversi esami strumentali tra cui il c.d. SATE. Durante e dopo la sottoposizione a questo esame la stessa paziente era andata più volte in fibrillazione atriale e dopo poche ore veniva colta da ictus cerebrale cardioembolico.

La paziente citava in giudizio l’Azienda Ospedaliera di Terni affermando che l’evento lesivo si era verificato in conseguenza della mancata sottoposizione ad una corretta terapia coagulante e antiaggregante. Il Giudice adito disponeva CTU sulla persona dell’attrice, all’esito della quale veniva rilevato che la percentuale di rischio trombo-embolico riferibile alla paziente era da comprendersi tra il 3 e il 5 % e che la terapia anticoagulante, ove praticata, avrebbe ridotto la probabilità di cardioembolismo post-cardiovesione all’1%. Alla luce delle risultanze della CTU il Tribunale, pur non escludendo che l’attacco ischemico si sarebbe potuto verificare anche in presenza della condotta commissiva dovuta, riteneva l’azienda ospedaliera responsabile nei limiti dell’incremento del rischio imputabile e di conseguenza la condannava a risarcire l’80% del danno subito dall’attrice.

La decisione del Tribunale di Terni offre lo spunto per alcune riflessioni in merito alla tematica relativa al danno da perdita di chance nell’ambito dei giudizi di responsabilità medica (medical malpractice)
La pronuncia in esame, che affronta un non semplice caso di aumento colposo del rischio di complicanza, da un lato ha il pregio di fornire un breve, ma esaustivo, riepilogo dei maggiori orientamenti giurisprudenziali formatisi in tema di responsabilità da malpractice medica, ricordando, anzitutto, come la relazione che si instaura tra medico e paziente dia luogo ad un rapporto di tipo contrattuale, con conseguente obbligo da parte del primo di svolgere l’attività necessaria e utile in relazione al caso concreto e in vista del risultato che, attraverso il mezzo tecnico e professionale, il malato spera di conseguire, dall’altro, tuttavia, si discosta nettamente dall’orientamento giurisprudenziale e dottrinale precedente sotto il profilo  della ripartizione del danno in base al diverso apporto causale che ogni concausa può aver ricoperto nella causazione dell’evento dannoso.
Ed invero la pronuncia sposa i principi generali elaborati in materia di ripartizione dell’onere probatorio e si sofferma sull’accertamento del nesso eziologico, analizzando i vari orientamenti emersi in materia in sede penale e in sede civile.
L’estensore puntualizza come i rigorosi criteri elaborati dalla giurisprudenza penale vengano attenuati in sede di imputazione della responsabilità civile, aderendo alla costruzione per cui nei due giudizi, penale e civile, sarebbe in vigore una diversa regola probatoria, nel senso che mentre nel primo occorre la prova oltre il ragionevole dubbio, nel secondo è sufficiente la preponderanza dell’evidenza o del più probabile che non.
Il Tribunale passati in rassegna i suddetti orientamenti dichiara espressamente di aderire a quello sviluppato recentemente dalle corti civili in materia di prova di esistenza del nesso eziologico
Una volta inquadrati ed esaminati detti principi giuridici, l’organo giudicante si sofferma sulle risultanze della CTU, che ha individuato un concorso di cause alla base del verificarsi dell’evento lesivo.
Tali cause sono rappresentate, da un lato, dalla negligenza del personale sanitario che non ha somministrato alla paziente l’adeguata terapia farmacologica e, dall’altro, dalle precarie condizioni di salute della paziente al momento del ricovero.
Il Tribunale, una volta accertata la presenza di due diverse cause del sinistro in concorso tra loro, attua una graduazione di responsabilità in funzione del rischio circa la produzione del sinistro che può essere attribuita a ciascun antecedente causale, così da circoscrivere il risarcimento in proporzione all’incidenza statistica della condotta del danneggiante.
La decisione elabora un’imputazione articolata della responsabilità. Dopo aver accertato senza margini di dubbio che la causa dell’evento andava individuata in una cardioembolia e dopo aver stabilito con analoga certezza che il controfatto colpevolmente omesso avrebbe ridotto le probabilità di incorrere in complicanze dal 5% all’1%, con un conseguente incremento del rischio cardioembolico pari all’80%, la sentenza indica che non potendosi escludere che la complicanza intervenuta, e dunque il fenomeno ischemico, si sarebbe verificata anche in presenza della condotta commissiva dovuta consistente nella somministrazione di anticoagulante, l’azienda ospedaliera convenuta deve essere ritenuta responsabile esclusivamente nei limiti dell’incremento del rischio imputabile alla negligente condotta omissiva e dunque condannata a risarcire l’80% del valore complessivo del danno.

Sotto quest’ultimo profilo il Tribunale si pone in netto contrasto con l’orientamento giurisprudenziale e dottrinale prevalente in materia di concorso tra cause naturali e cause umane, orientamento in virtù del quale la concausa naturale rileva solo se  idonea ad interrompere il nesso causale tra la condotta umana e l’evento. Secondo il disposto del Tribunale, invece, nell’ambito della responsabilità medica, quando non si può escludere che il danno si sarebbe verificato anche in presenza della condotta commissiva dovuta, l’azienda ospedaliera deve essere ritenuta responsabile esclusivamente nei limiti dell’incremento del rischio.

Così facendo si accoglie una prospettiva diversa da quella del risarcimento da perdita di chance focalizzata solo sulla possibilità di conseguire un risultato positivo così da sfuggire alla logica del “ all or nothing” ( tutto o niente).

La sentenza può essere condivisibile o meno, ma di fatto la logica di apportionment of liability adottata dall’estensore consente di contemperare efficacemente l’interesse del danneggiato ad ottenere un parziale risarcimento anche in ipotesi di causalità incerta e dall’altro l’esigenza del medico di non vedersi costretto a risarcire anche conseguenze dannose riconducibili a fattori causali a lui stesso non direttamente imputabili.

La decisione in esame può esser discussa nella sua impostazione ma è, se non altro, coerente, perché propone la soluzione a monte della liquidazione, non ritenendo evidentemente corretto, seguendo il percorso evidenziato, addossare al debitore della prestazione il danno integrale.