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Paziente resa invalida da una lesione al midollo spinale occorsa durante il parto cesareo (SENTENZA TRIB. MILANO, SEZ. I, 04.06.2019, N. 5288)

Il Tribunale, facendo propria la tesi patrocinata dalla difesa dell’Avv. Luigi Lucente, si dissocia dal parere tecnico negativo reso dai propri Consulenti Tecnici e, per l’effetto, condanna al risarcimento del danno la struttura ospedaliera ed il medico anestesista convenuti. In sede di parto cesareo il sanitario ha praticato l’iniezione spinale in uno spazio inter-vertebrale non raccomandato, provocando alla paziente una lesione midollare irreversibile.

LA CRONISTORIA.

La vicenda è quella della notte tra il 3 e il 4 gennaio 2014; notte in cui una donna in dolce attesa veniva ricoverata presso una struttura di rilievo nel panorama milanese dell’ostetricia e della ginecologia per dare alla luce il proprio secondogenito, un maschietto di nome Francesco.

La signora si trovava a metà della trentanovesima settimana. Pesava 109 Kg (con accrescimento ponderale pari a +13 Kg), per una statura di 170 cm. Alle ore 20.05 del 3 gennaio la partoriente veniva così portata in sala parto a causa della rottura prematura delle membrane, ma alle ore 00.15 doveva essere trasferita in sala operatoria per essere sottoposta a parto cesareo. Ivi l’anestesista di turno eseguiva puntura lombare al fine di anestetizzare la donna, ma, invece di inserire l’ago nella schiena al punto più basso raccomandato (tra gli spazi inter-vertebrali L3 e L4), decideva di introdurre l’ago in un punto più alto e rischioso (ossia tra gli interspazi L2 e L3), ed inoltre, errando anche nell’individuazione del punto esatto in cui pungere, finiva per praticare il foro ed iniettare la miscela anestetica in un sito controindicato – ossia tra gli interspazi L1 e L2, se non ancora più in alto – ledendo il sottostante midollo spinale. Oltretutto, una volta inserito l’ago e constatata la conseguente reazione algica della paziente, che infatti accusava dolore e aveva movimenti involontari degli arti inferiori, l’anestesista non ritraeva neppure l’ago per operare un riposizionamento, come avrebbe invece nel caso dovuto, ma al contrario ritraeva parzialmente l’ago ed iniettava comunque la miscela anestetica.

In ogni caso il parto si svolgeva regolarmente, e così alle ore 00.55 il piccolo Francesco veniva al mondo. Alle 08.35 della mattina del 4 gennaio, tuttavia, quando la puerpera si trovava in reparto da ormai qualche ora, veniva obiettivata una “mobilità all’arto inferiore ridotta” e rilevate delle “algie sopra il ginocchio dell’arto inferiore sinistro”. Per tutto l’arco della giornata tale sintomatologia algo-disfunzionale agli arti inferiori persisteva, e così anche fino a quella sera, quando, alle ore 21:00, veniva eseguito un controllo anestesiologico così refertato: “chiamata per ipotomia gamba sinistra. La pz è stata sottoposta a T.C. in a. spinale e riferisce “scossa” all’esecuzione della manovra. Non deficit sensitivi ma deficit motori al tibiale anteriore sx e deficit motorio alle dita del piede sinistro (III, IV, V)”. I primi sintomi di una diagnosi infausta.

Nei giorni successivi si alternavano diverse consulenze di specialisti mirate a comprendere l’origine dell’algia, fino a che, in data 07.01.2014, la paziente veniva sottoposta ad RMN, che sanciva la presenza di un grave danno midollare cagionato dell’anestesia spinale effettuata in luogo del parto cesareo. Esito, questo, confermato poi anche dai successivi accertamenti e controlli. Data l’irreversibilità e la stabilità del quadro clinico, a distanza di appena qualche giorno la neomamma poteva essere dimessa, ma la sua vita da quel dì sarebbe stata fortemente condizionata dalla lesione subita.

Le conseguenze, infatti, erano severe. “Claudicatio di fuga, steppage del piede, e rischio di caduta per eversione traumatica del piede stesso… Complessivamente si deve ritenere ridotta l’autonomia locomotoria, con impossibilità di corsa e difficoltà e rischio di caduta nelle scale e su terreni sconnessi o scivolosi o in condizioni di scarsa visibilità”, si legge nei referti. All’atto pratico la paziente non riesce a camminare se non con l’utilizzo di un tutore; non può indossare scarpe femminili; è costretta a portare dispositivi ortopedici e calzature speciali; ha dovuto rinunciare ai propri hobbies e alle proprie passioni, quali, su tutti, il tennis, le gite fuori porta con gli amici e le lunghe camminate. Veniva introdotto, infine, anche un ciclo di consultazione psicologica mirato ad affrontare questo stravolgimento di vita non indifferente. A distanza di qualche mese le veniva altresì riconosciuta una percentuale di invalidità civile pari al 34%.

L’ISTRUTTORIA DELLA CAUSA ED IL PROCESSO.

A questo punto la signora decideva di rivolgersi allo Studio Legale Lucente al fine di veder tutelati i propri diritti e, così, ottenere il risarcimento per i danni subiti. La stessa veniva affiancata da dottori specialisti del settore medico-sanitario, quali il Dott. Andrea Albertin, Direttore del Reparto di Rianimazione e del Servizio di Anestesia dell’Ospedale San Giuseppe-Multimedica di Milano e Castellanza, nonché Professore presso l’Università degli Studi di Milano, ed i Dott.ri Massimo e Daniele Sher, esperti di comprovata esperienza nel campo Medico-chirurgico, Medico-legale. Istruita nel dettaglio, così, la vicenda, ed esperito anche il tentativo di mediazione previsto come condizione di procedibilità dalla legge (con esito negativo), con atto di citazione del 31.03.2015 venivano convenuti in giudizio dinnanzi al Tribunale di Milano sia l’Istituto clinico ove si era perpetrato l’atto sanitario, sia il medico anestesista che si era materialmente occupato della puntura spinale. In sede giudiziale l’attrice domandava dunque il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito, producendo copiosa documentazione e mettendo a disposizione diversi testimoni allo scopo di dimostrare tutti i molteplici risvolti pregiudizievoli, anche in ambito lavorativo, scaturiti dalla vicenda. Entrambi i convenuti si costituivano in Giudizio chiedendo il rigetto delle domande attoree; rivendicando la correttezza del proprio operato, a loro avviso reso più difficoltoso dalla condizione fisica della paziente (109 chili di peso al momento del ricovero); e denunciando di aver mostrato ogni scrupolo nella ricerca e nell’individuazione del punto ove inserire l’ago per l’anestesia. Si costituiva in giudizio anche l’Istituto Assicurativo coinvolto nel procedimento dal dottore, anestesista, il quale aveva domandato di essere dallo stesso garantito in caso di accertata responsabilità.

Nel corso del procedimento veniva esperita Consulenza Tecnica medico-legale d’Ufficio finalizzata ad evidenziare eventuali profili di responsabilità in capo ai convenuti, e, dunque, in caso di riscontro positivo, ad indicare e quantificare i danni etiologicamente connessi agli stessi.

All’esito delle operazioni peritali i Consulenti nominati non mettevano in discussione la sussistenza del lamentato danno (“All’arto inferiore di sinistra si evidenziano esiti distrofici in regione calcaneale … completo deficit di dorsiflessione del piede e dell’alluce, ipoestesia tattile e puntoria limitata però alla sola gamba. Per quanto riguarda i riflessi osteotendinei risultano ridotti se comparati con l’arto inferiore destro”), né tantomeno l’esistenza di un nesso eziologico in grado di ricollegare tale danno psico-fisico alla puntura lombare avvenuta in sede di parto cesareo (“Nel caso della sig.ra **** senza dubbio esiste un nesso ben identificato tra il deficit neurologico da lei subito e l’anestesia a cui fu sottoposta il giorno 04.01.2014”). Quanto, però, all’individuazione di specifici motivi di addebito, il Collegio peritale addiveniva ad un mancato riconoscimento di profili di colpevolezza, e dunque di responsabilità, in ragione – in primis – dell’asserita presenza di rilevanti caratteristiche fisiche/cliniche della paziente che nel caso di specie avrebbero condizionato il buon esito dell’atto medico, quali un’obesità congenita e presunte “varianti anatomiche” (un cono midollare più lungo del normale ed una Tethered Cord Syndrome); ed in secundis, della coincidenza tra il comportamento tenuto dal sanitario e quanto avviene “normalmente” in sede di anestesia spinale. Su quest’ultimo punto in particolare, infatti, i CTU rilevavano che il sanitario, mirando a pungere nell’intercapedine presente tra le vertebre L2 ed L3, e così poi pungendo per errore in eccesso nell’intercapedine superiore (tra le vertebre L2 ed L1) se non addirittura più in alto, ove ha sede il midollo spinale, non avrebbe comunque tenuto una condotta rimproverabile a titolo di colpa poiché il punto lombare scelto (tra L2 ed L3), seppur non consigliato poiché al di sopra della Linea di Tuffier (la linea intercorrente tra le vertebre L3 ed L4), sarebbe comunque quello “comunemente” scelto dagli operatori in casi consimili. E così, analogamente, l’operato del sanitario non dovrebbe ritenersi censurabile neppure per l’errata individuazione del punto esatto in cui pungere, e la conseguente immissione dell’ago spinale in uno spazio inter-vertebrale superiore rispetto a quello prefissato, in quanto tale errore sarebbe da considerarsi sempre scusabile, essendo compiuto “nel 51%” dei casi dal medico che effettua tale pratica medica, anche se esperto.

Sulla relazione dei Consulenti dell’Ufficio depositata il 12.09.2017 l’Avv. Luigi Lucente sollevava eccezione di nullità, chiedendo al Magistrato, in subordine, di domandare dei chiarimenti ai CTU. In particolare, l’Avv. Lucente soffermava l’attenzione sulla circostanza che tali presunte “varianti anatomiche” fossero in realtà il frutto di una distorta interpretazione del caso da parte dei periti dell’Ufficio, del tutto disancorata dalle reali risultanze documentali del processo, e che oltretutto le stesse, al pari della condizione di obesità, nella valutazione peritale non potessero comunque assurgere ad imprevedibile complicanza, in quanto a ben vedere la signora aveva invero già subito la medesima procedura anestesiologica tre anni prima, durante il parto cesareo avvenuto in occasione della nascita del primogenito, senza alcun tipo di complicanza o strascico di sorta. A fronte dell’istanza attorea, con ordinanza del 15.11.2017 il Giudice chiedeva ai propri Consulenti specifici chiarimenti. Dopodiché, rigettate le ulteriori istanze istruttorie, la causa veniva trattenuta in decisione.

IL VERDETTO.

In data 04.06.2019 il Tribunale di Milano, sez. I, Dott.ssa Massari, pubblicava la sentenza n. 5288/2019, con la quale prendeva le distanze dalle conclusioni dei Consulenti Tecnici dell’Ufficio, ed addiveniva ad un riconoscimento di responsabilità in capo ai convenuti. “Le conclusioni cui sono giunti i periti dell’ufficio non sono pienamente condivisibili, poiché parzialmente in contrasto con alcune affermazioni degli stessi periti”, si legge nel corpo della pronuncia. In buona sostanza l’Ill.mo Giudicante, sul punto “aderendo alle osservazioni della difesa dell’attrice”, ha affermato che se è vero che “la scienza medica consiglia «di introdurre l’ago per anestesia subaracnoidea non al di sopra della linea di Tuffier» ovvero a livello L4-L5”, allora necessariamente la condotta tenuta dal sanitario nel caso in esame non può che ritenersi censurabile, giacché “l’inserimento dell’ago, che avrebbe dovuto avvenire in L4-L5, è stato fatto in L1-L2 e dunque senza rispetto delle raccomandazioni scientifiche”. Di poco significato, infatti, venivano ritenute le considerazioni addotte dai CTU in perizia per cui il medico anestesista sarebbe giustificabile in quanto si sarebbe limitato a dar corso ad una qualche diffusa prassi, essendo che “tale considerazione risulta non determinante” per due ordini di ragioni: “poiché nel caso di specie l’introduzione dell’ago è [poi comunque] avvenuta attraverso l’interspazio L1-L2 … [e quindi] oltre il punto che, sebbene più alto, i consulenti dell’ufficio ritengono ‘tollerabile’ di L2-L3”; e tenuto conto di come, a ben vedere, gli stessi CTU sostengono in ogni caso che è sempre “bene scegliere il livello di accesso al rachide più basso possibile e che la puntura a livello L2-L3 espone ad un maggior rischio di puntura del cono midollare”. Inoltre, non sono state del pari ritenute meritevoli di condivisione le doglianze delle parti convenute volte ad addossare l’infausto evento alle connaturate condizioni fisiche e/o anatomiche della paziente, dato che queste – oltre a non trovare significativo riscontro in atti – ancor prima si appalesavano in contrasto con una circostanza non trascurabile e messa in grande risalto dalla difesa attorea, ossia che la signora tre anni prima avesse già partorito facendo ricorso sempre al parto cesareo con anestesia spinale, e che in quella occasione né la similare costituzione corporea (di 108 kg, contro i 109 kg del parto oggetto di esame), né tantomeno la presenza di indimostrate anomalie anatomiche aveva impedito o anche solo in qualche modo interferito con il corretto svolgimento della procedura spinale. Per cui a parere dell’Organo giudicante nel caso de quo deve ravvisarsi “imperizia dell’operatore nell’esecuzione dell’anestesia per aver introdotto l’ago in uno spazio intervertebrale non corretto”: in occasione del (secondo) parto cesareo avvenuto nel 2014, infatti, “la puntura spinale non è stata eseguita secondo la miglior scienza medica e con la dovuta prudenza, diligenza e perizia, dal medico anestesista”. Da qui dunque la condanna di entrambi i convenuti, struttura nosocomiale e medico anestesista, al risarcimento del danno subito dalla paziente. Con applicazione dei criteri equitativi e dei più noti barémes valutativi di matrice giurisprudenziale per la commisurazione delle singole sotto-voci di danno non patrimoniale, individuazione del danno patrimoniale da ristorarsi, ed aggiunta di rimborso delle spese di giudizio e di interessi.